Paella in Italia

in Italylast month (edited)

​In una sera di quelle che non si dimenticano, di quelle che si appiccicano all'anima come una melodia perfetta, mi sono ritrovato seduto a un tavolo in un ristorante italiano. Non uno di quelli chiassosi, ma uno di quelli che ti accolgono come un abbraccio caloroso, avvolto da quel profumo inconfondibile di basilico e di vita vissuta. E lì, in quel microcosmo di sapori e di storie, ho compiuto un atto di audacia, di pura, scandalosa trasgressione: ho ordinato una paella.
​E no, non ditemi che non si fa. Non fatelo, vi prego. Non interrompete il mio flusso di coscienza, il mio vagare romantico tra i confini del gusto e dell'etica culinaria. Perché mangiare paella in Italia non è un semplice pasto, non è una banale scelta gastronomica. È un'avventura, un atto di fede, un'impresa quasi donchisciottesca che richiede coraggio, incoscienza e una buona dose di senso dell'umorismo.
​L'attesa, poi, è stata un vero e proprio dramma shakespeariano. Seduto lì, tra coppiette che si scambiavano sguardi languidi su piatti di carbonara e famiglie che discutevano animatamente su chi avesse fatto il sugo migliore, mi sentivo un alieno. Un glorioso, magnifico alieno, il cui unico scopo era quello di sfidare le convenzioni, di sovvertire l'ordine cosmico delle cose. Ogni volta che un cameriere passava con un piatto fumante, il mio cuore balzava, sperando che fosse il mio momento, il momento della mia paella. Ma no, era sempre qualcun altro. Era come essere in un film, dove il protagonista deve affrontare mille peripezie prima di arrivare al suo tanto agognato e inaspettato traguardo.
​E poi, finalmente, è arrivato. L'ho sentita prima di vederla, l'ho sentita con l'olfatto, con il naso che si è riempito di un profumo che non era di Italia, ma di Spagna, un profumo di mare e di sole, di riso e di zafferano, un profumo che era, in sé, una dichiarazione di indipendenza dai dogmi culinari. E quando l'ho vista, ah, quando l'ho vista! Non era su un piatto, ma su una gigantesca, maestosa, scintillante paellera, una padella che sembrava un'opera d'arte, un disco solare di sapori e di colori.
​Era uno spettacolo per gli occhi, un tripudio di giallo zafferano, di rosso dei peperoni, di verde dei piselli, di rosa e arancione dei gamberi e delle vongole. Ogni ingrediente, ogni piccolo dettaglio, era un frammento di un mosaico perfetto, un piccolo universo in miniatura. Le cozze, scure e misteriose, sembravano piccole navi arenate su un mare di riso dorato. I gamberi, rossi e succosi, erano come piccoli re che dominavano il loro regno. Il riso, compatto e scintillante, era il vero protagonista, il filo d'oro che univa tutto, che avvolgeva ogni sapore in un'unica, armoniosa sinfonia.
​Ma la vera bellezza, il vero miracolo culinario, è stato il momento del primo assaggio. Ho affondato il cucchiaio in quel mondo di sapori, ho raccolto una porzione generosa di riso, di un gambero, di un pezzetto di peperone. E l'ho portato alla bocca. E lì, in quel momento, è successo qualcosa di magico, di inaspettato, di quasi divino. Non era solo paella, era un'esperienza. Era un'esplosione di sapori, un'orchestra di gusto che suonava una melodia nuova e inaspettata. Il sapore salmastro del mare si mescolava con la dolcezza dei peperoni, la consistenza morbida del riso si fondeva con la croccantezza dei gamberi. Era una danza sensuale e inebriante di sensazioni, una sinfonia che mi ha fatto chiudere gli occhi per assaporare ogni singola nota.
​E il socarrat! Ah, il socarrat! Quella crosticina di riso che si forma sul fondo della padella, croccante e saporita, il vero tesoro, la gemma nascosta di ogni paella che si rispetti. Quando l'ho grattato via con il cucchiaio, ho sentito un brivido, un piccolo orgasmo culinario. Era il momento in cui la paella mi aveva accettato, in cui mi aveva rivelato il suo segreto più profondo. Era il bacio della paella, il suo benvenuto nel suo mondo dorato e salmastro.
​E tutto questo, tutto questo meraviglioso, inaspettato, ironico banchetto è avvenuto in Italia. Nel cuore dell'Italia, dove ogni forchettata di paella era un piccolo atto di sfida alla tradizione, un piccolo, glorioso "vaffan..lo" a chi dice che la paella si mangia solo in Spagna. Era un inno alla libertà, alla libertà di mangiare ciò che si vuole, dove si vuole, senza giudizio, senza regole, senza preconcetti. E in quell'atto di audacia culinaria, ho trovato una gioia profonda, un'inaspettata epifania. Perché il cibo, come l'amore, non conosce confini. E un piatto di paella mangiato in Italia, con il cuore aperto e la mente libera, è la prova che la vita, come un romanzo, è piena di svolte inaspettate, di incontri sorprendenti e di sapori che non avremmo mai pensato di trovare.

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Foto di mia proprietà

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Adoro la Paella e sono felice che tu abbia potuto gustarne una così buona! Una volta ho provato a farla da sola, ma non è venuta un gran che! In effetti non ho mai ordinato una paella in Italia, credo che dovrei provare!

Per tutto c'e una "seconda chance"!
Buona Fortuna!