Come annientare una centenaria e gloriosa tradizione calcistica - How to annihilate a century-old glorious football tradition [MULTILANGUAGE]
Lo sciagurato presidente della FIGC, Gabriele Gravina, Quirinale.it, Attribution, da Wikimedia Commons

L'UNICO MODO PER RINASCERE |
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Punto interrogativo o punto esclamativo? Nel compilare il titolo del post di ieri, "Possiamo solo guardare", sono stato a lungo indeciso tra quel dei due segni di interpunzione inserire alla fine dell'ultima parola.
Con il punto esclamativo avrei probabilmente aumentato l'effetto shock e forse attirato qualche click in più, ma il suo "fratello" più riflessivo nascondeva un barlume di speranza, un briciolo di fiducia che ancora i tifosi azzurri erano disposti a concedere a questa nazionale, alla vigilia della trasferta in Norvegia.
L'ex CT della nazionale, Giampiero Ventura. Вячеслав Евдокимов, CC BY-SA 3.0, da Wikimedia Commons
Col senno di poi e alla luce dell'ennesima magra figura rimediata dai nostri, si può tranquillamente affermare che si è rivelata una scelta sbagliata. In questo momento storico, l'Italia è a tutti gli effetti una nazionale di seconda fascia, più tendente alla terza che alla prima.
In realtà la puzza di bruciato, io come molti altri appassionati, l'avevamo sentita da tempo. L'Italia si apprestava alla prima trasferta delle qualificazioni mondiali con molte assenze e con una rosa talmente scarsa, qualitativamente parlando, da dover tornare indietro al 1983 (anno della mancata qualificazione agli Europei) per trovarne una peggiore.
Inoltre i nostri avversari potevano contare, oltre che sull'apporto del caloroso pubblico di casa, anche sui sei punti messi in cascina nei precedenti due incontri del girone, capaci di fruttare un'invidiabile differenza reti di più sette nonché una condizione psicologica e pratica di vantaggio.
L'ex CT della nazionale, Roberto Mancini. Biser Todorov, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons
Anche solo un pareggio infatti, avrebbe costretto gli azzurri a vincere con molte reti di scarto i successivi impegni, o a battere la Norvegia nell'ultimo match, in programma a novembre. E un po' tutti sappiamo quanto la nostra nazionale sia da tempo avvezza a fallire miseramente gli appuntamenti da "dentro o fuori".
Detto questo, il focus andrebbe concentrato sul punto più importante: come può, l'Italia, nazionale quattro volte campione del Mondo e due volte campione d'Europa, essere arrivata al punto di temere e spesso soccombere in confronti con avversari di seconda o terza fascia, come Svezia, Svizzera, Macedonia o Norvegia?
In che modo un Paese da sempre calciofilo, capace di sfornare alcuni tra i più grandi calciatori della storia, come Baggio, Vialli, Baresi, Maldini, Pirlo, Totti o Del Piero essersi ridotto a non poter mandare in campo niente di meglio che gente come Bastoni, Raspadori o Lucca?
Il tutto è figlio di un impoverimento tecnico, culturale e sportivo cominciato nel 2006, con la farsa di Calciopoli, e che oggi non può che fare capo ad un unico nome, il presidente della FIGC, Gabriele Gravina. Un personaggio che, non contento di aver fallito l'appuntamento con i due precedenti mondiali, si accinge a rimanere fuori pure dal terzo, senza farsi balenare nemmeno lontanamente l'idea delle dimissioni.
Il designatore arbitrale, Gianluca Rocchi. Дмитрий Садовников, CC BY-SA 3.0 GFDL, via Wikimedia Commons
In ogni lavoro si viene giudicati per i propri risultati, ma in FIGC questo criterio sembra non esistere. E non solo Gravina, ma nemmeno Chiné, procuratore sportivo dalla memoria selettiva e dai criteri di severità cangianti a seconda del grado di affetto provato per i soggetti esaminati, Viglione, responsabile legale preso a festeggiare a bordo campo lo scudetto dell'Inter, il designatore arbitrale Rocchi e gli inutili membri della CoViSoc hanno mai dovuto rispondere delle loro omissioni o dei loro fallimenti.
La FIGC sembra oggi un sistema che sta in piedi non per garantire il bene del calcio italiano, ma per sospingere e proteggere un unico club, l'Inter, dagli innumerevoli guai che la circondano. E nel frattempo affossare, di tanto in tanto, la concorrenza con una scusa, magari su commissione, come accaduto con la storia delle plusvalenze.
Un sistema penetrato dalla mafia, come ormai tristemente noto decisa a puntare sull'Inter come partner d'affari, e che da essa (chiedo scusa in anticipo per la volgarità) è tenuto drammaticamente per le palle, nel disinteresse dei media.
Il presidente dell'Inter, Beppe Marotta. photo coundown, CC BY 2.5, via Wikimedia Commons
Gravina e tutta la sua corte non si dimetteranno mai, nemmeno nel caso in cui agli azzurri tocchi l'ultimo posto del girone o la mancata qualificazione anche ai prossimi Europei. Semplicemente non possono, probabilmente anche ricattati, perché servono da garanti di un sistema che porta lauti guadagni alle mafie.
E mentre all'estero gli scandali italiani destano stupore e indignazione, tra le altre società, nessuno fiata. O quando qualcuno lo fa, con timide esternazioni, viene prontamente riportato a più miti consigli dal fogliaccio rosa del "bovino", che a mo' di pizzino d'avvertimento tira fuori uno scandalo, una storia o pone l'accento su un determinato un particolare, per riportare un chiaro messaggio proveniente dal padrone del circo: "attento, che finisci in pasto ai leoni..."
A questo punto esistono due strade: lasciare che la barca vada alla deriva, dedicandosi a molti altri spettacoli più genuini e divertenti (ad oggi persino il Wrestling lo è), o aspettare che venga azzerato tutto, con uomini nuovi ai posti di comando, manager non legati ad alcuna società e scelti unicamente per operare nel bene del calcio italiano.
Purtroppo, al momento, solo una delle due sembra percorribile.
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