La mappa dei vinti: Capitolo 3 (un romanzo by @kork75)
Erano trascorsi dieci anni dall'arrivo del comandante Enea De Lorenzi a Favignana. La sua vita, un tempo fatta di orizzonti infiniti e oceani profondi, ora si misurava con i contorni di quell’isola. Da casa sua, la finestra era aperta sul tiepido sole di maggio e una brezza leggera muoveva le tende, portando con sé il profumo del sale, del pesce e del tufo caldo, scavato nei decenni dalle cave che ferivano la terra con cicatrici bianche. Il suo sguardo abbracciava la sagoma dell'isola, una grande farfalla tuffata nel blu intenso del Mediterraneo. Il silenzio era rotto solo dai richiami dei gabbiani e dal suono lontano delle onde che si infrangevano sulla costa rocciosa. Gli uffici del Distaccamento Marittimo, un’appendice anonima della Capitaneria di Porto di Trapani, si trovavano nel cuore del paese, incastonati tra le case basse e le reti da pesca stese ad asciugare. Era un piccolo edificio in tufo calcareo, con il tetto di tegole e i muri scoloriti dal sole e dalla salsedine, il punto di riferimento per ogni questione legata al mare dell’isola. L’area vantava spiagge incontaminate bagnate da acque pure e cristalline, il paradiso dei pescatori e il regno delle tonnare più famose del Mediterraneo.
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Già dagli inizi degli anni sessanta, tuttavia, l’economia locale stava rapidamente cambiando. La costruzione di un'importante struttura portuale, destinata a segnare la fine dell'epoca gloriosa della pesca e l'inizio di una nuova, aveva sconvolto la vita del borgo, rimpiazzando il silenzio dei pescatori con il rumore sordo dei cantieri e delle motonavi. Ma quella trasformazione non sembrava minimamente toccare la vita di Enea. Gli angusti uffici della Capitaneria erano perennemente chiusi, come un guscio vuoto. Dei quattro marinai di leva assegnati alla Capitaneria, era raro trovarne qualcuno in sede: o erano impegnati in servizio sulla motovedetta CP 208, oppure erano in licenza, o ancora, di guardia al faro. Appesi alla maniglia d'ottone ossidato, l’immancabile cartello con la scritta: "CHIUSO" e la solita comunicazione: "Per urgenze rivolgersi al Capo di prima classe Calogero Pulvirenti, presso il pontile. Motovedetta CP 208." Firmato, il comandante Capitano di Corvetta Enea De Lorenzi.
Se non era a casa a leggere romanzi rosa o a ubriacarsi, trovavi Enea al solito tavolo del Bar del Pescatore. I libri, spediti per posta da un'anonima libreria di Trapani, gli venivano fatti trovare in ufficio da Pulvirenti, senza una parola, come parte di un accordo non detto. Ormai, a Favignana, anche se nessuno lo aveva mai visto in divisa, tutti sapevano che era il comandante della Capitaneria. L'unica cosa che lo distingueva dai pescatori locali non era più la sua età, ma l'immancabile berretto bianco della Marina Militare, un copricapo liso e ingiallito dal sole e dal tempo che aveva sostituito la sua divisa ufficiale. La portava come un uniforme civile, abbinata a una camicia di jeans, consumata e aperta sul petto. Scorbutico e scontroso da sobrio, iracondo e violento quando ubriaco, era di compagnia solo per le partite di poker del sabato sera, durante la trasmissione delle partite di calcio o nelle rare sere in cui la televisione del bar trasmetteva incontri di boxe. Le uniche persone con cui aveva un rapporto confidenziale erano due: il suo fidato collaboratore, Pulvirenti, e Alena, la proprietaria del bar, i cui occhi sembravano capire, senza bisogno di parole, ogni silenzio e ogni tormento dei suoi clienti. E, soprattutto, quelli di Enea.
Era ormai mattina inoltrata quando la motovedetta CP 208 stava rientrando al molo di Favignana. Il porto era già in fermento, con i pescatori intenti a scaricare il pescato della notte, mentre l'odore di sale e di benzina si mescolava nell'aria tiepida. Pulvirenti aveva appena terminato il suo pattugliamento settimanale e ad aspettarlo in banchina c’era suo cognato, il maresciallo dei carabinieri Aristide Palmisano. Il Maresciallo era già passato dall’ufficio postale e, come era consuetudine tra colleghi e isolani, aveva ritirato la posta indirizzata alla capitaneria. A Favignana, dove la burocrazia statale si concentrava in poche persone, Palmisano e il comandante De Lorenzi rappresentavano in pratica lo stato e la legge. Il Maresciallo considerava Enea un insopportabile scansafatiche e i due raramente si trovavano in sintonia. Si sopportavano a malapena solo il venerdì pomeriggio, quando uscivano a pescare a traina senza scambiarsi una parola per ore. Ligio al servizio e al dovere, Palmisano alzava il gomito solo di rado e di conseguenza il Bar del Pescatore non era per lui un luogo di grande frequentazione, a differenza del comandante di marina, ormai un habitué del locale.
Ormeggiata la pilotina, Pulvirenti esaminò velocemente la bolgetta postale. Il contenuto era più o meno il solito: nuove carte nautiche, aggiornamenti al portolano e documenti militari vari. Ma ciò che richiamò subito la sua attenzione fu l’unica lettera di corrispondenza, una busta spessa, non in carta gialla istituzionale, ma bianca recante il timbro della Direzione del Personale Militare, Roma. La missiva era indirizzata alla Capitaneria di Porto di Favignana e riportava la dicitura: “Riservata! Alla cortese attenzione del Capitano di Corvetta Enea De Lorenzi”. Pulvirenti capì immediatamente che doveva essere qualcosa di urgente e importante. La direzione del personale, in un decennio, si era a malapena ricordata della loro esistenza. Sbattuta la portiera della Seicento dei carabinieri e lanciato il sacco della posta sul sedile posteriore, con la busta tra le mani, Pulvirenti si rivolse al cognato. Un lampo di speranza, quasi di sollievo, gli brillava negli occhi. Dopo dieci anni a coprire le mancanze di Enea, quella lettera sembrava la sua unica via di fuga.
"Mischino. Aristide! Forse è 'a vùota bbona' che lo mandano in pensione."
Palmisano mise in moto.
"E perché non lo scopriamo subito? Amuninni al Bar, avrà di sicuro passato la notte da Alena. Ieri sera c'era la boxe, te lo scordavi?!"
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“Quante storie ha visto questa schiena, comandante?”, esclamò Palmisano, con tono di scherno.
Colto alla sprovvista, Enea sobbalzò, e la sigaretta che aveva appena terminato andò perduta, spargendo il suo contenuto sul pavimento di cemento.
“Aristide, porca troia, minchia fai! sei il solito cretino! Pulvirenti, cos'è successo? Com'è andato il pattugliamento?”, disse voltandosi e trovandosi il capo davanti pensando subito a guai.
“Niente di particolare, i lavori della nuova tonnara proseguono e il molo è quasi pronto. I pescherecci sono ancora tutti in mare, nel Mammellone, e... ah, sì. Per finire devo darti questa”, rispose Pulvirenti, porgendo la busta al suo comandante. Abbassò quasi d’istinto il tono della voce:
“Sembrano esserci novità dalla casa madre... Non l’ho aperta, comunque. È riservata pe tia”.
Nel frattempo, Alena era arrivata. Appoggiò una tazzina di caffè sul piccolo tavolo con la base in ghisa e il piano in formica e salutò i due uomini con un cenno del capo. Mentre Enea apriva la busta, lei gli si strinse in un abbraccio, appoggiando la testa sulla sua spalla. Enea lesse le prime righe, il suo volto rimase impassibile.
“Il venti di questo mese devo andare alla direzione del personale a Roma”, disse, come se stesse annunciando la fine della pioggia.
“Pare che mi abbiano messo a riposo. Dice che presto arriverà il mio sostituto.”
Passarono alcuni secondi interminabili, poi finalmente Alena ruppe il silenzio.
“Enea, era quello che aspettavi da un bel po’, non è così?”
La sua voce era un sussurro pieno di speranza.
“Finalmente ce ne andremo a fare quel viaggio… nell’arcipelago delle Isole Dahlak, in Eritrea.”
Gli diede un bacio schioccante sulla guancia e si allontanò verso la cucina, lasciandolo in compagnia di Palmisano e Pulvirenti.
“Dahlak? Mai sentito”, mormorò il Maresciallo.
“Aristide, è una storia lunga e vecchia, una storia di guerra che non vorresti sentire. Fidati”, lo smorzò immediatamente Enea.
“Certo che sei proprio un tipo strano, fattelo dire, vecchio”, borbottò Palmisano, scuotendo la testa.
Enea alzò la mano, chiamando Alena. “Per la miseria, allora questo è il mio ultimo mese da comandante! Un goccio per festeggiare ci sta tutto! Vi unite a me?”
Capo Pulvirenti, rimasto a fissare il vuoto, non si era accorto di nulla. Era rimasto aggrappato a quelle parole: "...arriverà il mio sostituto."
Nel suo cuore sperava che quel sostituto fosse lui, che dopo anni di duro lavoro e di servizio impeccabile, la Capitaneria lo premiasse con la nomina di nuovo comandante. Ora era perso nei suoi dubbi. I due lo fissarono per un attimo, con lo sguardo di chi si sorprende ancora una volta di fronte a una normalità così assurda.
“No, grazie”, disse Palmisano, con una voce quasi disgustata che sottolineava come fossero solo le dieci del mattino.
Fece un eloquente cenno al cognato, un invito silenzioso ad andarsene.
“Fai il bravo, Enea”, aggiunse, prima di congedarsi dal retro del bar, poi rivolgendosi ad Alena, con un gesto galante e plateale, le baciò la mano e con un sorriso leggero mormorò:
"Baciamu li mani, signura."
Gesto che la fece ridere.
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Rimasto solo, il comandante si sedette sui gradini della cucina. Rilesse la lettera una seconda volta. Enea sapeva bene che quelle poche righe celavano un significato ben diverso da un semplice congedo. Il Corpo non solo lo mandava in pensione, ma aveva anche l'intenzione di riaprire il suo fascicolo post-prigionia. Questo significava che avrebbe dovuto ripresentarsi davanti alla commissione disciplinare della Marina Militare e riesporre i drammatici e surreali fatti del 1944. Il naufragio, l'isola di Dahlak e il suo popolo, l'attacco tedesco e poi la cattura e la prigionia. Tutti ricordi dolorosi che, come uno schiaffo, riemergevano da un passato che credeva di aver seppellito per sempre. Dimenticarli, del resto, era impossibile. Quella storia era tatuata non solo sulla pelle della sua schiena, ma anche nel profondo della sua anima. Poi ripenso alla faccia di Pulvirenti quando lesse che presto sarebbe arrivato il nuovo comandante, non era vero che c’era scritto questo sul dispaccio, e sorrise compiaciuto.
Continua...
Profilo dei Personaggi
Enea De Lorenzi
Nato a Roma nel 1905, Enea De Lorenzi ha vissuto un’infanzia divisa tra Italia ed Eritrea, dove ha imparato l’amarico come prima lingua, prima di padroneggiare l’italiano. Questa radice coloniale gli ha lasciato una doppia identità, facendolo sentire uno straniero in entrambe le terre. Ufficiale della Regia Marina, si è formato all’Accademia Navale di Livorno e ha prestato servizio come sommergibilista durante la Seconda guerra mondiale. Sopravvissuto all’affondamento del sommergibile Persico nel 1943, è stato poi internato nel campo di prigionia di Sachsenhausen, dove ha subito ferite sia fisiche che psicologiche. Il ritorno in Italia nel 1946 non ha significato un ritorno alla normalità. La diagnosi di “nevrosi da guerra” lo ha escluso dal mondo lavorativo, relegandolo a una vita di solitudine e alcolismo a Trieste, una città al confine sospesa tra vecchie e nuove tensioni politiche. Nel 1952 riceve un ordine di richiamo dalla Marina per un possibile reintegro, una sfida che rappresenta una sorta di ultima opportunità per riscoprire un senso e una pace interiore. La sua storia è segnata da ferite profonde, un passato ingombrante e la lotta per ricostruire una vita in bilico tra rimpianti e speranze.A Favignana, l'ufficiale di marina Enea De Lorenzi vive un'esistenza solitaria e sregolata, dieci anni dopo il suo trasferimento sull'isola. Il suo passato da sommergibilista nella Seconda Guerra Mondiale e la prigionia lo hanno segnato profondamente, portandolo a rifugiarsi nell'alcol e nella lettura di romanzi. La sua vita, un tempo avventurosa, si è ridotta a una routine tra la casa che si affaccia sul mare di Favignana e il Bar del Pescatore, dove si ritrova spesso in compagnia di Alena, la proprietaria, e del suo fidato collaboratore, Calogero Pulvirenti.
Timeline degli eventi:
1905: Nasce a Roma.
1912: Trasferimento in Eritrea con la famiglia, dove cresce imparando l’amarico.
1938: Si arruola volontario nella Regia Marina e frequenta l’Accademia Navale di Livorno.
1939: Frequenta la scuola sommergibili a Pola.
1940: Perdita del padre durante i bombardamenti inglesi su Massaua.
6 marzo 1943: Il sommergibile Persico affonda; Enea è uno dei pochi sopravvissuti con una ferita alla spalla sinistra.
1943–1945: Prigioniero nel campo di internamento di Sachsenhausen, subisce traumi fisici e psicologici gravi.
1946: Ritorno in Italia, segnato da “nevrosi da guerra”, escluso dal lavoro militare.
1946–1952: Vive a Trieste in isolamento, in condizioni precarie.
Marzo 1952: Richiamato all’Accademia Navale di Livorno per un possibile reintegro. Inizia un percorso di valutazione fisica, psicologica e professionale.
Maggio 1952: Promosso capitano e assegnato al corpo delle Capitanerie di Porto, in attesa di trasferimento a Favignana.
Maggio 1952: Riceve una telefonata urgente dalla Questura di Trieste riguardo Alena Pavelic, una donna legata al suo passato, trovata in pericolo. Decide di prenderla sotto la sua protezione e farla trasferire a Favignana.
Maggio 1952 – Maggio 1962: Vive a Favignana, dove assume il ruolo di comandante della Capitaneria di Porto. Tuttavia, la sua vita è segnata da solitudine e alcolismo, trascorrendo le giornate tra la sua casa, il Bar del Pescatore e letture di romanzi rosa. Il suo dovere professionale è spesso trascurato e l'ufficio rimane perennemente chiuso. L'unica cosa che lo distingue dai pescatori è l'immancabile berretto della Marina Militare. Nonostante il suo carattere scontroso, mantiene un rapporto confidenziale con il suo collaboratore, Calogero Pulvirenti, e con Alena, la proprietaria del bar.
Maggio 1962: Riceve una busta dalla Direzione del Personale Militare di Roma, recapitata da Calogero. La lettera lo informa del suo imminente pensionamento e della necessità di presentarsi a Roma per l’arrivo del suo sostituto. Enea, leggendo la missiva, comprende che la Marina intende riaprire il suo fascicolo e rivedere i fatti drammatici del 1944: il naufragio, l'isola di Dahlak, l'attacco tedesco e la prigionia. Questi ricordi dolorosi, tatuati sulla sua schiena e nella sua anima, tornano a perseguitarlo. Nonostante la sua reazione iniziale, decide di festeggiare il suo ultimo mese da comandante.
Alena Pavelic
Alena Pavelic è una donna i cui occhi raccontano storie di terre spezzate e confini instabili. A trent'anni, porta su di sé il peso di una fuga da una Jugoslavia dilaniata dalle purghe di Tito. La sua bellezza, un tempo viva e vibrante come le terre della sua infanzia, è ora segnata dalla fatica e dalla paura, ogni ruga un promemoria costante dei pericoli affrontati. Arrivata a Trieste come un relitto spinto a riva dalla marea, ha cercato sicurezza ma ha trovato solo nuove insidie, in una città di confine dove i fantasmi del passato la seguivano come un'ombra. Il suo legame con Enea è fragile, nato da una convivenza più necessaria che affettiva. Sono due sopravvissuti, uniti non dall'amore ma da una profonda e muta comprensione della solitudine. Alena, con la sua vulnerabilità, e Enea, con le sue cicatrici, formano un'alleanza atipica, fatta di sguardi silenziosi e gesti discreti.
Timeline degli eventi:
1922: Nata in una famiglia contadina slava nei Balcani.
1940-1945: Cresce durante gli anni di guerra e occupazioni, imparando che la fiducia è un lusso e la sopravvivenza richiede astuzia.
1945-1948: Con l'ascesa del regime comunista di Tito e l'intensificarsi delle repressioni, la sua casa si trasforma in una prigione a cielo aperto, costringendola a una fuga disperata.
1949: Lascia la Jugoslavia, affrontando un viaggio solitario e rischioso.
1950: Arriva a Trieste, dove la speranza si scontra con la dura realtà della povertà e del pregiudizio.
1951: Incontra Enea De Lorenzi; la loro convivenza nasce da una necessità, un'intesa silenziosa tra due anime spezzate.
Marzo 1952: Viene trovata in pericolo e con segni di violenza in un capannone abbandonato. Viene arrestata e poi liberata, ma l'incidente rafforza il suo legame con Enea, che diventa il suo unico punto di riferimento.
Maggio 1952: Si trasferisce a Favignana sotto la protezione di Enea, sperando che il mare possa lavare via i ricordi più dolorosi e regalarle la pace.
1956: Dopo un periodo di lavori saltuari, vince un terno inaspettato al Lotto sulla ruota di Venezia. Con la vincita, Alena apre "Il Bar del Pescatore", un porto sicuro dove la solitudine di Alena trova finalmente un po' di pace. Non è solo un esercizio commerciale, ma un simbolo di libertà e rinascita, dove il passato viene messo da parte e la felicità perduta viene ritrovata.
Calogero Pulvirenti
È il fidato collaboratore di Enea, l'uomo che da dieci anni copre le sue mancanze. Svolge il suo lavoro con professionalità e dedizione, ma nel suo cuore spera di ricevere un avanzamento di carriera, una nomina che lo ripaghi della sua onestà e dei suoi sacrifici.
Timeline degli eventi:
1920: Nasce a Catania in una famiglia di pescatori, tra l’odore acre delle reti stese al sole e le urla dei venditori del porto.
1930: Si trasferisce a Messina con il padre sulle coste dello Stretto, per la caccia al pesce spada. Da ragazzino scala gli alberi delle feluche come un gatto di mare, diventando avvistatore: occhi allenati al luccichio dell’acqua, cuore saldo nel vento.
1936–1940: Sullo stretto diventa un vero marinaio. Vive estati interminabili sotto il sole, impara a remare con forza e a rispettare il silenzio che precede l’arpione. Il mare lo tempra, lo indurisce, lo rende uomo.
1940: La guerra lo strappa alle feluche. Arruolato nella Marina Militare, viene destinato ai treni armati costieri, convogli blindati che pattugliano la costa per difendere lo Stretto di Messina dagli attacchi.
1943–1945: Dopo l’armistizio resta in servizio, ormai legato più ai porti che al mare aperto. Comincia a conoscere la vita delle Capitanerie di Porto, fatta di ordini secchi, carte nautiche e rapporti ufficiali.
1946–1951: Continua la carriera nelle Capitanerie, distinto da superiori e colleghi per disciplina e affidabilità. Non beve, non bara, non fa chiasso: un uomo di dovere, che parla poco e lavora molto.
1952: Viene trasferito a Favignana. Qui incontra il comandante Enea De Lorenzi, un ufficiale spezzato dal passato. Da quel momento, il peso della Capitaneria ricade quasi tutto sulle sue spalle.
1952–1962: Diventa il vero punto di riferimento dell’isola. È lui che controlla le attività dei pescherecci, che gestisce la motovedetta, che mantiene in piedi l’ufficio quando Enea sparisce tra il bar e la bottiglia. La gente lo rispetta, anche se non porta il berretto bianco da comandante.
1962: Il sogno segreto. Quando arriva la lettera che annuncia il pensionamento di Enea, nel cuore di Calogero nasce una speranza che non osa confessare: essere nominato nuovo comandante. Dopo una vita di silenzi, sacrifici e fedeltà, sente che potrebbe essere finalmente il suo momento.
Aristide Palmisano
Maresciallo dei Carabinieri. Cognato di Pulvirenti, è un uomo ligio al dovere e alla legge. Detesta l'atteggiamento superficiale di Enea, ma lo sopporta per dovere e per il legame familiare con il cognato. Nonostante tutto, i due condividono la passione per la pesca, un rituale silenzioso che li unisce.
Timeline degli eventi:
1918: Trapani. Nasce in una famiglia legata al mare. Il padre lavora nella tonnara di Favignana e possiede una piccola casa sull’isola, rifugio estivo e nido di ricordi.
1925–1935: Favignana. Da bambino trascorre le estati sull’isola: corse a piedi nudi sugli scogli, i giochi con le corde della tonnara, il frastuono dei tonnaroti che cantano mentre calano le reti. Qui impara a rispettare la fatica, la parola data, l’onore del lavoro.
1936–1939: Roma. Frequenta la Scuola Allievi Carabinieri. Un ragazzo serio, disciplinato, quasi austero. La divisa gli dà un senso di missione, un ruolo che sente scritto nel sangue.
1940–1943: Nord Africa Viene inviato in guerra. Tra sabbia e fuoco, conosce la paura e la disciplina estrema. Una ferita alla gamba lo segna, ma non lo piega. Torna in patria con lo sguardo di chi ha visto troppo presto la fragilità della vita.
1944–1945: Sud Italia. Dopo l’8 settembre, resta fedele all’Arma. Nelle città liberate si occupa di ordine pubblico: strade piene di macerie, civili affamati, soldati spaesati. In quegli anni la sua fede nella legge diventa granitica, quasi religiosa.
1946–1950: Trapani Promosso maresciallo ordinario, si distingue per rigore e integrità. Non beve, non scommette, non ride troppo: la gente lo rispetta, ma lo teme. In quegli anni, nelle estati a Favignana, la sorella conosce e si innamora di un marinaio, Calogero Pulvirenti. Quel legame lo lega ancor di più all’isola.
1952: Favignana. Ottiene il trasferimento stabile sull’isola come Maresciallo dei Carabinieri. Per lui non è un semplice incarico: è come tornare a casa. Ma questa volta ci arriva in uniforme, come il volto severo della legge.
1952–1962: Diventa la figura d’ordine dell’isola. Nessuno osa sfidare la sua autorità. Con il cognato Pulvirenti nutre un rapporto di rispetto silenzioso: due uomini diversi, ma uniti dal sangue e dal mare. Con Enea, invece, la pazienza è un dovere più che una virtù: ne tollera le mancanze solo per rispetto delle istituzioni. Eppure, a volte, al tramonto, scende con Enea ai sugli scogli e insieme gettano le lenze, o nei pomeriggi autunnali escono con la barca a traina. In quel silenzio sospeso tra acqua e cielo, Aristide ritrova il bambino che osservava la tonnara, e per un attimo la legge tace, lasciando spazio al mare.
1962: L’equilibrio fragile. L’annuncio del pensionamento di Enea apre un nuovo scenario. Aristide non lo dice a voce alta, ma nel suo cuore spera che l’isola trovi finalmente un ordine più giusto. Non per ambizione personale: ma per fedeltà al dovere, e per amore di quella terra di scogli e reti che da sempre chiama casa.
Capitolo precedenti
La mappa dei vinti: Capitolo 1 e Capitolo 2
La mappa dei vinti: Capitolo 3
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Sai scrivere molto bene. In questo pezzo di racconto mi arriva quell’atmosfera sospesa di una comunità in bilico tra tradizione e modernità. Hai scritto libri e poi pubblicati?
Grazie 😁. No, non ho mai pubblicato nulla altrove, tutto quello che scrivo lo condivido qui su Steemit... solo per diletto 😉👋
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