io e TE Amore per un Cane
Argo
era una meticcia di taglia media il suo pelo striato con zone bianche e scure e occhi che brillavano come vetro scuro sotto la luna. Aveva otto anni ormai, ma ogni sera, quando il mondo si faceva silenzioso e la casa smetteva di respirare, lui e il suo padrone scendevano in giardino per quel rito sacro: il gioco della palla.
La notte era scesa da poco, in silenzio, come una coperta leggera distesa sul mondo. Il giardino dietro casa sembrava sospeso in un sogno, illuminato appena dalle luci tremolanti dei lampioni che si affacciavano tra le fronde degli alberi. Le ombre, sottili e lunghe, si rincorrevano tra l’erba come bambini in un gioco antico, muovendosi al ritmo lento del vento.
Tommaso, il vecchio padrone dal passo stanco e lo sguardo sereno, aveva tra le mani una palla di gomma rossa. Era logora, segnata da mille denti, ma ancora capace di suscitare l’entusiasmo di Argo, il suo cane fedele.
Argo era un pastore meticcio, con il pelo ispido color della terra e occhi che brillavano come vetro scuro sotto la luna. Aveva dieci anni ormai, ma ogni sera, quando il mondo si faceva silenzioso e la casa smetteva di respirare, lui e Tommaso scendevano in giardino per quel rito sacro: il gioco della palla.
Il lampione più vicino, vecchio e cigolante, proiettava sul prato una luce gialla, morbida, che trasformava ogni movimento in un balletto d’ombre. Argo correva, saltava, scivolava sull’erba umida, con le orecchie tese e la lingua di fuori. Ogni volta che riportava la palla, la poggiava ai piedi del padrone come fosse un tesoro. E Tommaso rideva piano, con quella voce spezzata dall’età, ma piena di affetto.
Il giardino non era solo un giardino. Era un teatro di ricordi. Ogni angolo aveva una storia, ogni ramo una memoria. C’era l’albero di fico sotto cui Argo da cucciolo si era rifugiato durante un temporale. C’era la siepe che un giorno aveva scavalcato per inseguire un gatto, salvo poi ritrovarsi bloccato e guaiante. E poi c’era la panchina, la loro panchina, su cui Tommaso sedeva e Argo gli appoggiava il muso sulle ginocchia, in silenzio.
Quella sera, però, c’era qualcosa di diverso. Il cielo era più scuro del solito, la luce dei lampioni più fioca. Eppure l’armonia del momento era intatta. Argo sembrava danzare con le sue ombre, rincorrendo non solo la palla, ma anche un’eco del passato, un frammento della loro storia.
Tommaso lo osservava, con gli occhi lucidi di chi sa che il tempo non si può fermare, ma si può onorare. Ogni lancio era un battito del cuore. Ogni corsa del cane era un frammento di eternità.
La notte avanzava lenta, il gioco continuava.
Fino a quando Argo, con la palla tra i denti e le orecchie alzate, si fermò di colpo. Guardò il padrone con occhi intensi, quasi a voler dire qualcosa. Tommaso si chinò, gli accarezzò la testa e sussurrò:
— Siamo ancora qui, io e te. Come ogni notte. E finché ci saranno le luci, continueremo a giocare.
Argo scodinzolò piano. La palla cadde a terra. E il gioco riprese, sotto le luci gialle che trasformavano due anime in ombre danzanti sul prato.
Se ti piace questo stile narrativo, posso continuare con i capitoli