L'imbarazzante fine della "Squadra di Stato" - The embarrassing end of the ‘State Team’ [MULTILANGUAGE]

Sparare contro la "Croce Rossa" non si addice esattamente al mio stile. Pertanto, pur non negando di aver accolto con grande soddisfazione, come buona parte dell'Italia calcistica (almeno quella che conta qualcosa), la sonora sconfitta dell'Inter in finale di Champions League, lungi da me volermi accanire contro squadra e tifosi nerazzurri, già provati dal loro profondo dolore sportivo

Del resto, più volte, durante la militanza da tifoso, ho provato quella stessa amarezza, ovvero l'arrivare ad un passo dal trofeo più ambito e vederselo soffiare da sotto il naso da una squadra più forte. Anzi, molto spesso pure da una più debole.

Sotto questo punto di vista, solidarietà. Anche perché, come ho provato a ricordare più volte in passato a quelli che si divertivano a compilare sfottò puerili e Meme per una finale persa, chi esce ai playoff, come capitato a Juve, Atalanta e Milan quest'anno, o chi addirittura la Champions League la gioca una volta ogni quindici anni, non è esattamente nella posizione di burlarsi di una finalista.

Allo stesso modo però è impossibile non scatenare qualche seria riflessione su una sconfitta apparsa talmente ampia e persino sottodimensionata nel punteggio, rispetto a quanto visto in campo, da apparire grottesca.

Il commento più gettonato, e forse anche il più benevolo è stato il seguente: sembrava un allenamento a porte aperte, di quelli che si giocano durante la preparazione estiva, tra una squadra di professionisti e una sparring partner locale, chiamata giusto per saggiare la condizione fisica dei colleghi più famosi.

Eppure stavamo assistendo alla finale di Champions League tra le due realtà che, sulla carta, dovevano rappresentare il meglio del calcio europeo. E allora perché uno spettacolo così imbarazzante? Forse, e sottolineo l'avverbio, rigiocando altre cinquanta volte questa partita, l'Inter non perderebbe di nuovo con un divario così ampio, ma ugualmente è lecito chiedersi: i nerazzurri meritavano davvero la finale?

Rispondere oggi sembrerebbe banale, così come ricordare che il vero atto conclusivo, senza i numerosi errori arbitrali che hanno penalizzato la squadra catalana, si sarebbe dovuto giocate tra il Paris Saint Germain e il Barcellona.

_{L'attuale allenatore del PSG, Luis Enrique. Football.ua, CC BY-SA 3.0 GFDL, via Wikimedia Commons}

Ma al di là di questi ragionamenti, che possono anche lasciare il tempo che trovano, occorre riflettere sul racconto fatto dai media, ormai da almeno cinque anni a questa parte, quando l'argomento principale ha riguardato l'Inter. Più che un racconto una propaganda, molto simile a quella perpetrata dai quotidiani dei regimi dittatoriali.

Una società che è stata "abile" ad infilare propri uomini pressoché ovunque e che ha potuto beneficiare di norme ad hoc per evitare il fallimento. E che quando le norme ha aggirato, sia per questioni piccole di campo che enormi, a livello societario, ha sempre trovato inquirenti e giudici sportivi pronti a girarsi dall'altra parte o a tendere la mano.

Siamo così stati "allevati" con il fogliaccio rosa del bovino, conosciuta anche oltreoceano con l'appellativo di cheerleader dell'Inter, pronta a magnificare allenatore, giocatori e dirigenza come i migliori del mondo. Barella vale ottanta milioni, Calanhoglu cento, Lautaro magari anche mille.

_{A sinistra, Lautaro Martinez. Erjonallaraj, CC BY-SA 4.0, da Wikimedia Commons}

Acerbi è un bravo ragazzo, che non ha mai pronunciato offese razziste, Lautaro un irreprensibile padre di famiglia, accusato ingiustamente di aver bestemmiato in campo e Marotta il miglior presidente della storia, che ha accolto ultras mafiosi solo e soltanto per non causare guai all'ordine pubblico.

Ogni gesto antisportivo, favore arbitrale o guaio societario è stato semplicemente taciuto, pressoché da tutti gli organi di informazione, annullato, cancellato, o nella migliore delle ipotesi reinterpretato, secondo il principio sacro del "se non lo raccontiamo, non è mai esistito".

Ne è nato un racconto distorto e surreale, nel quale una squadra, quella che si è identificata, forse addirittura fusa, con l'intero sistema sportivo e dell'informazione, è stata dipinta al livello delle migliori d'Europa, quando evidentemente non ci è mai andata realmente nemmeno vicino.

La perdita dello scudetto è come se avesse risvegliato i calciatori nerazzurri da una specie di torpore, spegnendo quell'incantesimo di invincibilità costruito dalla macchina dell'informazione. E il risveglio, dopo i sogni più belli, è sempre molto difficile.