House &: L'equilibrio del caos (un racconto by @kork75)
Trama: La storia di Mike e House &
Il racconto segue le vicende di Mike, un responsabile vendite pragmantico che lavora in un'azienda disorganizzata, la House & di Seattle. La narrazione è divisa in tre parti che descrivono il suo percorso professionale e le complesse dinamiche interpersonali.
Atto I: Il Caos Quotidiano
L'azienda è un ambiente di lavoro disfunzionale e caotico, dove i colleghi sembrano più interessati a hobby e passatempi che al lavoro. Mike viene promosso a responsabile vendite estere in un momento di crisi. Dopo un'iniziale riorganizzazione del capo reparto Frank, Mike si trova a dover gestire la difficile relazione con Alice e il nuovo, ambizioso, collega Poul. A causa della loro alleanza e del loro cinismo, i due cercano di sabotare il lavoro di Mike, che si sente sempre più isolato.
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House & è un’azienda dinamica ma in evidente difficoltà, con sede a Seattle, attiva nella produzione e distribuzione di prodotti per il mercato nazionale e internazionale. La sede riflette il suo spirito contraddittorio: open space luminosi pensati per la collaborazione, ma invasi da documenti, post-it e computer capricciosi. Dietro la facciata moderna, arredi cigolanti e muri scrostati ricordano che il caos creativo qui è realtà. Ogni giornata è una corsa a ostacoli: email che svaniscono, riunioni improvvisate, colleghi disallineati. Anche le mansioni più semplici diventano imprese. Poi c’è Mike, responsabile vendite: pragmatico, paziente, adattabile. Si muove tra procedure lente, colleghi imprevedibili e stampanti ribelli. Al vertice c’è il direttore: ambizioso, egocentrico, più interessato ai riconoscimenti personali che ai risultati del team. Accanto, il vice direttore: scorbutico, scontroso, allergico all’entusiasmo. Per Mike, ogni giorno è un esercizio di equilibrio degno di un acrobata.
«Mike, hai visto?» mormorò Jenna, mostrando lo smartphone puntato su un foglio svolazzante. «Il documento della riunione è sparito… ma ho trentasette notifiche TikTok arretrate.»
Mike sospirò. «Lavori o ti alleni per diventare influencer?»
«Entrambe,» rispose lei. «La sincronizzazione labiale aiuta a dimenticare le pratiche.»
Greg, poco più in là, cantava: «La mia sindrome del tunnel carpale mi impedisce di compilare il modulo!»
Mike alzò gli occhi. «Solo tu riesci a trasformare una patologia in un musical.»
Tom raccontava la sua giornata come un film noir.
«Il fornitore era ostinato, occhi stretti e voce roca. Ho cliccato, freddo come una notte d’inverno. Natasha? Ero io, dietro lo schermo, orchestrando tutto nell’ombra.»
«Devo applaudire o chiamare il detective?» sbuffò Mike, mentre un collega passava alle sue spalle con l’aria di chi nasconde un segreto.
I part-time sembravano gestire un club clandestino.
«Scusate, devo rispondere,» disse Linda, voce bassa. «Il fornitore di vodka ha cambiato consegna… e il DJ del sabato forse ha troppi scheletri nel mixer.»
Mike annuì. «Almeno qualcuno qui sa muoversi tra le ombre con stile.»
Mike fu convocato dal vicedirettore per fare il punto sulle pratiche.
«Alcune urgenti, altre… fluttuanti,» disse il vicedirettore con un sorriso incerto.
Fluttuanti? pensò Mike. Ottimo. Vediamo come si fluttua una pratica con un fornitore pronto a far saltare tutto.
«Ci sono i report trimestrali, la gestione clienti esteri e il progetto “Infinity Supply”… che sta per esplodere. Metaforicamente, spero.»
Mike si sedette. Infinity Supply? Sembra un film Marvel. Se sopravvivo, metto “supereroe del caos” sul CV.
«Il team è… creativo,» aggiunse il vicedirettore.
Creativi? Tipo cantano malattie professionali, parlano di vodka e TikTok tra una missione segreta e l’altra? Sì, troppo creativi.
«So che sarai all’altezza.»
Mike annuì. O almeno della facciata. Perché se scoprono che la mia strategia è sperare nella magia… mi sostituiscono con un cactus.
Tra colleghi impegnati in imprese improbabili e un caffè che finiva sempre troppo presto, Mike iniziò il suo nuovo ruolo: gestire il caos, i documenti e un team degno di una puntata degli Avengers.
La chiamata era inevitabile. La sua predecessora aveva già lanciato segnali di fumo per annunciare le dimissioni, e Mike, unico a non aver chiesto il trasferimento, era rimasto l’unica opzione.
Qualche mese prima, Frank, il capo reparto – convinto di essere un genio della strategia – aveva riorganizzato tutto per “ridurre le tensioni” tra Mike e Alice, appena rientrata dopo una lunga malattia.
«Ben tornata, Alice,» disse con un sorriso troppo gentile per essere sincero.
Mike tradusse mentalmente: “Bentornata. Riprendi il lavoro che detesti… e ora rispondi a Mike, che prima era il tuo sottoposto.”
Una mossa brillante. O almeno, secondo Frank.
Ignaro delle dinamiche tra Poul e Alice, Mike cercò di rompere il ghiaccio.
«Allora, Alice, pronti a rimettere in moto la macchina?»
Alice lo guardò con un mezzo sorriso. «Oh, certo… la macchina del caos, giusto? Mi sembra il modello più adatto per questo ufficio.»
Mike rise nervosamente. «Beh, almeno il caffè funziona ancora. È un buon inizio.»
Poi Alice si fece più seria. «Sai, Mike… Poul ha alcune idee… interessanti su come “guidare il team”. Se posso essere sincera, a volte sembra remare contro l’azienda invece di aiutarla.»
Mike annuì, trattenendo un sospiro. «Perfetto. Non vedo l’ora di scoprire cosa significa “remare contro” in pratica. Comunque a me non sebra che ha competeze specifiche in materia.»
Alice rise. «Tranquillo, per il nuovo arrivato: io ho già un piano. E, credimi, non è quello del caffè.»
Mike si sedette, infilando le mani tra i capelli. Se sopravvivo a questa giornata, posso davvero scrivere “supereroe della gestione del caos” sul CV.
Mike presentò le novità aziendali dell'ultimo anno ad Alice e al nuovo collaboratore, Poul.
Tuttavia, dopo che i dirigenti le fecero notare che si aspettavano da lei un pieno ritorno al suo ruolo, Alice iniziò a cambiare atteggiamento. Con una mossa inaspettata, si alleò con Poul.
“Se non puoi sconfiggerli, alleati con loro,” pensò Alice, “ma solo per sabotarli.”
Da quel momento, Mike si trovò davanti a una strana coppia: Alice e Poul, apparentemente collaborativi, ma entrambi capaci di allinearsi al negativismo e al cinismo come se fosse una forma d’arte.
Alice, con una calma glaciale e una precisione chirurgica, cominciò a smantellare tutto ciò che Mike aveva costruito durante la sua assenza. Progetti riorganizzati, decisioni riviste, processi snaturati: ogni sua iniziativa veniva lentamente corrosa sotto il pretesto di “ottimizzazione” o “allineamento strategico”.
Mike sospirò: Benvenuto nel nuovo corso del caos organizzato.
Atto II: Un'Isola di Armonia
Per risolvere il conflitto, Mike e la nuova assunta Sandra vengono assegnati alle vendite nazionali. La loro collaborazione si rivela subito vincente. L'intesa tra i due cresce, trasformando il loro spazio in un'oasi di efficienza e complicità. Mike, che si sente sempre più vicino a Sandra, si rende conto di provare per lei un sentimento profondo, ma platonico, basato sul rispetto e sulla lealtà. Nel frattempo, i sabotaggi di Alice e Poul nel settore estero iniziano a manifestarsi.
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Nel frattempo, Sandra, la nuova assunta, si trovò subito immersa in un team segnato da evidenti conflitti. Frank, il responsabile di reparto, aveva diviso la squadra in due gruppi per cercare di risolvere i problemi tra Mike e Alice: Alice, Poul, Donald e Patrick si occupavano delle vendite estere, mentre Mike e Sandra gestivano le vendite nazionali e gli ordini interni.
Sopraffatto dal peso del conflitto, Mike cercò conforto in Sandra.
«Scusa se te lo chiedo,» disse una mattina, abbassando lo sguardo sulla tazza di caffè, «ma… è normale tutto questo? Sono io quello sbagliato?»
Sandra gli sorrise con calma, i suoi occhi sinceri.
«Mike, no. Se lo pensassi, te lo direi subito.»
Quelle parole furono un balsamo per l’anima di Mike. Per la prima volta dopo tanto tempo, si sentì capito e rassicurato.
Ma la tregua era solo apparente. Sopraffatto dal comportamento sempre più ostile e ambiguo di Alice nei suoi confronti, Mike iniziò a rendersi conto che qualcosa non andava nel settore estero.
Le vendite rallentavano, le comunicazioni con i clienti internazionali diventavano confuse, e alcune trattative avviate da lui prima della riorganizzazione venivano inspiegabilmente abbandonate.
Alice, con la complicità silenziosa di Poul, stava lentamente minando la stabilità del reparto, sabotando con discrezione ogni traccia del lavoro di Mike.
Inoltre, Mike notò che Alice mostrava un atteggiamento freddo e distaccato anche nei confronti di Sandra.
Non c’erano mai parole gentili, né gesti di collaborazione. Solo sguardi sfuggenti e silenzi carichi di tensione.
Mike non poté fare a meno di pensare che quel comportamento fosse legato al fatto che Sandra lavorasse con lui.
Come se, agli occhi di Alice, chiunque si schierasse al suo fianco per lavorare per il direttore diventasse automaticamente un nemico.
Il nuovo settore vendite estero era il fiore all’occhiello del direttore, il suo progetto più ambizioso, il vanto da esibire in ogni riunione.
«Mike, vieni nel mio ufficio,» disse con un tono che non lasciava spazio a repliche. «Voglio che sia tu a fare l’augurio ufficiale per il lancio. Sei il nostro uomo del futuro.»
Mike annuì, cercando di mascherare l’ondata di sarcasmo che gli saliva dentro.
Prepararsi a un discorso di incoraggiamento per un team che lo guardava come se fosse un malware aziendale non era esattamente il suo sogno professionale.
“Buon lavoro a tutti,” pensò, “e ricordate: se qualcosa va storto, potete sempre dare la colpa a me.”
Si sistemò la giacca, inspirò profondamente e si avviò verso la sala riunioni.
Sarà un grande giorno per tutti noi, si disse.
Soprattutto per me… che dovrò sorridere, sembrare entusiasta e fingere che non stia già immaginando il disastro della prossima riunione.
Dopo il discorso, Mike si concentrò finalmente sul suo nuovo incarico, con Sandra al suo fianco. I quattro mesi successivi diventarono la prova della loro intesa. Lavoravano con un’affinità sorprendente, trasformando l’ufficio in un piccolo rifugio, lontano dalle tensioni del resto del team. La loro collaborazione si rivelò subito un successo: mentre il reparto estero navigava tra caos e faide interne, l’ufficio di Mike e Sandra funzionava come una macchina perfettamente oliata.
Le loro competenze si intrecciavano in modo sorprendente. Mike, con la sua esperienza e la conoscenza profonda del settore, sapeva prevedere ogni possibile ostacolo; Sandra, invece, osservava con occhi attenti e mente lucida, individuando dettagli che a molti sfuggivano. Insieme formavano un duo impeccabile: le pratiche venivano chiuse con una rapidità e una precisione che sembravano quasi innaturali, e chi li guardava al lavoro non poteva fare a meno di restare impressionato.
Alla fine della giornata, dopo aver chiuso una pratica particolarmente complessa, Mike si voltò verso Sandra.
«Non ce l’avrei fatta senza di te.»
«Siamo una squadra, Mike,» rispose lei, i suoi occhi che brillavano. «È più facile quando c’è sintonia.»
Mike sorrise, ma dentro di sé aggiunse una nota sarcastica: O almeno, quando non sto cercando di non lanciare il computer dalla finestra.
«Sintonia…» mormorò a voce bassa. «Non è solo sintonia. È qualcosa di più. È come se il mondo intero si fosse allineato per farci lavorare insieme. E io non voglio che finisca mai… anche se so già che domani qualcun altro farà esplodere un caos epico.»
I numeri confermavano ciò che era visibile a occhio nudo. Rapporti di fine mese dopo rapporti, gli ordini interni venivano gestiti con efficienza crescente e le vendite nazionali superavano ogni aspettativa. Il management iniziava a parlare di loro come di un esempio raro di sinergia perfetta.
Sandra ascoltava, sempre. Non parlava molto, eppure la sua presenza era più forte di mille parole. Non interrompeva mai, non inseriva commenti fuori luogo: semplicemente seguiva il flusso delle conversazioni, catturando ogni sfumatura, ogni intonazione. E mentre ascoltava, accadeva qualcosa di sottile e quasi magico: chi parlava con lei o accanto a lei iniziava a cambiare leggermente la direzione dei propri discorsi, adattandosi, cercando di rendere chiaro ciò che prima era confuso. Era come se la sua attenzione, silenziosa e totale, avesse il potere di guidare le parole, senza mai imporre nulla.
Il loro spazio era un’isola di complicità in un mare di conflitti. Semplici gesti – sistemare insieme le scrivanie, condividere un pacco di biscotti – diventavano piccoli rituali quotidiani. Le pause pranzo erano il loro momento: Mike, che di solito mangiava in fretta per tornare al lavoro, si ritrovava a trascorrere più tempo in mensa, seduto con Sandra e il suo gruppo di amici. L’aveva integrata nel suo piccolo universo, dove poteva essere sé stesso senza filtri.
La giornata era scandita da abitudini condivise. Mike chiedeva un parere su una pratica, e Sandra, con un sorriso, rispondeva: «Fai tu, l’ultima parola è la tua» oppure «Ci vorrebbe un’altra opinione». E lui, quasi automaticamente, replicava: «L’ho già chiesta, ma non mi convince.» Una battuta che li faceva ridere ogni volta, un segnale silenzioso che si capivano senza bisogno di troppe parole.
Le loro conversazioni andavano oltre il lavoro. Mike parlava di sua moglie, dei progetti, del mutuo, delle sue passione e dei viaggi futuri; Sandra ascoltava, entrando nel suo mondo con un’empatia naturale. In quei momenti, Mike si sentiva in bilico tra la sua realtà e il desiderio di qualcosa di diverso. Le loro battute erano un corteggiamento sottile, quasi inconsapevole.
Un giorno Mike chiese cosa stesse leggendo. Sandra rispose che era una raccolta di poesie. Il giorno dopo, Mike le regalò un libro, un gesto che non aveva mai fatto per nessun altro. La loro intesa era evidente, trasparente agli occhi di chi li osservava: due persone che, senza bisogno di parole inutili, avevano trovato un’armonia rara e preziosa.
Una sera, Mike era ancora in ufficio con Sandra quando il telefono squillò. Era sua moglie. Con un sorriso un po’ teso, rispose: «Sì, certo, arrivo subito.» Poi, rivolgendosi a Sandra, aggiunse: «Scusami, mia moglie mi aspetta a casa.»
Sandra annuì, con un sorriso silenzioso. In quel momento, Mike comprese qualcosa che andava oltre le parole: Sandra capiva. I suoi occhi tracciavano un confine delicato tra amicizia e affetto, e Mike lo riconobbe senza bisogno di spiegazioni.
Col tempo, quell’intesa silenziosa tra Mike e Sandra si trasformò in qualcosa di più profondo. Un pomeriggio, dopo aver archiviato l’ultima pratica della giornata, Sandra si sedette alla scrivania, lo guardò con uno sguardo diverso e iniziò a parlare.
«Sai, tu parli spesso di tua moglie, di tuo figlio, dei tuoi viaggi e delle tue passioni. Io, invece, ho tante storie che non ho mai raccontato. Ho un mutuo da pagare a Boston, un affitto a Seattle, e una vita intera passata a inseguire illusioni. Ho cambiato mille lavori, vissuto relazioni che non hanno funzionato. Non ho ancora una casa tutta mia, solo un mutuo che mi lega a un passato che non mi appartiene più.»
Mike la ascoltava in silenzio, sentendo crescere dentro di sé un senso di colpa. Lei era sempre stata lì, presente, leale, la sua confidente più sincera. Eppure, lui si era sempre concentrato sui propri problemi, senza mai chiedere davvero nulla di lei.
«Mi dispiace, Sandra,» disse piano. «Non lo sapevo.»
Sandra sorrise. Un sorriso dolce, velato di malinconia, che lasciava intravedere una ferita ancora aperta. «Non devi sentirti in colpa, Mike. Non è colpa tua. Ho fatto delle scelte, ho inseguito sogni che non erano i miei. Ma ora ho un lavoro che rispetto, una vita che ho scelto. E, per la prima volta dopo tanto tempo, mi sento viva.»
Mike la guardò, colpito da quella forza gentile. Sandra era fragile, sì, ma anche incredibilmente resiliente. Un’anima libera che aveva imparato a essere se stessa, senza compromessi. E lui, si rese conto di provare per lei qualcosa che andava oltre l’amicizia. Un sentimento profondo, fatto di rispetto e affetto, che non cercava spazio né definizione. Un amore silenzioso, platonico, che gli offriva stabilità e confini chiari — e proprio per questo, prezioso.
Atto III: La Tempesta Perfetta
Quando Alice si dimette, Mike viene nominato responsabile vendite estere al suo posto. Si trova così a dover gestire le pratiche lasciate in sospeso da Alice e a collaborare, suo malgrado, con Poul. Durante le sue ferie, Mike cerca di delegare il lavoro a Sandra, che affronta l'ostilità di Poul. Al ritorno, Mike ha un duro scontro con il collega. Il vicedirettore interviene, comunicando a Mike che il suo trasferimento è già stato deciso e che non lo difenderà. Mike capisce di essere vittima di una manipolazione da parte di Poul, il quale sta cercando di screditarlo agli occhi dei dirigenti. Ciononostante, Mike si riorganizza e con l'aiuto del capo Frank, riesce a trovare un punto di forza per contrastare il collega.
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Mike sapeva che quella telefonata sarebbe arrivata. Non era questione di se, ma di quando. Il caos aveva fatto il suo ingresso trionfale: Alice aveva rassegnato le dimissioni. La sua predecessora aveva lanciato segnali di fumo per mesi, e ora l’unico in grado di sedersi su quella poltrona — apparentemente forgiata nelle fiamme dell’inferno burocratico — era Mike. Un onore? Forse. Ma lui non si sentiva affatto un eroe. Piuttosto, un gladiatore pronto a entrare in un’arena popolata da colleghi armati di faldoni, scartoffie e rancori sedimentati.
Qualche mese prima, il direttore del settore, in un raro slancio di geniale incoscienza, aveva tenuto un discorso motivazionale per “ridurre le tensioni”. Il risultato? Una tregua apparente, seguita da una guerra fredda tra Mike e Alice — avversari perfetti per una commedia tragicomica.
Dopo un lungo congedo per malattia, Alice era tornata al suo posto con la determinazione di un incrociatore da guerra. Non cercava dialogo, né collaborazione. La sua missione era chiara: sabotare. E non solo Mike, ma l’intero sistema. Il suo astio verso l’azienda aveva radici profonde, alimentate da vecchi dissapori con il precedente direttore di settore. A detta sua, quelle tensioni l’avevano portata sull’orlo dell’esaurimento, lasciandole addosso una rabbia sedimentata e una diffidenza cronica verso ogni forma di leadership.
Mike, al contrario, non voleva combattere. Non cercava gloria, né potere. Voleva solo fare il suo lavoro, possibilmente senza esplosioni di drammi da ufficio. Ma ogni giorno, Alice gli lanciava sguardi che gridavano “Spero che fallisci, idiota”, e lui doveva trattenere l’impulso di rispondere con un sarcasmo affilato come una lama.
La loro storia? Un continuo scambio di frecciatine, manovre sottili e colpi bassi degni di una sitcom anni ’80. Nessuna attrazione, nessuna stima reciproca: solo una guerra burocratica, un duello di ego, una competizione che — vista da fuori — sembrava tanto ridicola quanto epica. E mentre Mike cercava di mantenere la rotta, Alice sembrava determinata a far affondare la nave, anche se a bordo c’erano tutti.
I mesi comunque passarono e arrivò l'estate. Ah, il 30 luglio. Una data che sarebbe rimasta impressa nella storia dell’ufficio come il Giorno del Giudizio Universale — ma con meno trombe celesti e più rumore di nastro adesivo. L’ufficio era in fermento, non nel senso di pane appena sfornato, ma come un alveare impazzito dopo che un orso ci avesse fatto visita. L’aria era elettrica, e non per via di un cortocircuito.
Dopo la dipartita di Alice — che, a quanto pare, aveva finalmente capito che la vita era troppo breve per le riunioni del lunedì mattina — e il trasferimento di Patrick (probabilmente in una stanza buia a contare graffette), il reparto vendite estere era rimasto orfano. E chi avrebbe dovuto raccogliere l’eredità di quel caos? Ma certo: Mike! Nominato dal direttore generale, il cui motto sembrava essere “nel dubbio, lancia Mike nel fuoco”.
L’unico lato positivo era che non sarebbe stato solo. Il suo vecchio ufficio — fino a quel momento simile alla Striscia di Gaza — si sarebbe trasformato in un unico open space condiviso con Poul, Sandra e Donald. Un luogo dove il profumo di caffè si mescolava a quello di ansia e inchiostro, dove spostamenti di scrivanie, imprecazioni a bassa voce e faldoni con vita propria minacciavano costantemente di cadere sui piedi di chiunque.
Il vicedirettore si avvicinò a Mike con la calma serafica di chi non deve fare nulla e disse: «Va bene, Mike. Domani prepari la tua nomina a responsabile vendite estere: tocca a te far partire il lavoro.» Un incoraggiamento del tipo: “Corri, la valanga ti sta per travolgere, ma a te l’onore di essere in prima linea.”
Il giorno dopo, Mike si mise al lavoro. O meglio, si mise a tentare di lavorare.
Le pratiche lasciate in sospeso erano un vero e proprio quadro impressionista di problemi, dove ogni macchia di colore rappresentava un potenziale disastro. Alcune erano banali, altre richiedevano decisioni rapide e precise: del tipo “salvare la nave o lasciarla affondare con dignità?”. Ma una in particolare spiccava, urlando: “Risolvimi subito o l’azienda fallirà!”
Mike fu convocato nell'ufficio del vicedirettore, che lo accolse con un sorriso incerto. "Mike, ti aggiorno sulle pratiche," esordì. "Ci sono i soliti report trimestrali da approvare, la gestione dei clienti esteri e... oh, il progetto Infinity Supply; te ne devi occupare subito."
E così Mike si ritrovò nel bel mezzo di un vero e proprio campo minato. Non potendo contare completamente su se stesso e diffidando dei suoi nuovi compagni di sventura, si rivolse a loro.
Da una parte c’era Sandra, la precisione incarnata: capace di scovare un errore in un foglio Excel anche bendata e mentre beveva un caffè. Dall’altra, Poul, il presunto alleato, un maestro del caos vestito da comunicatore, capace di calmare i clienti inferociti con una voce così melliflua da far dubitare Mike che fosse umano. Eppure, disperazione e urgenza non gli lasciavano scelta: doveva fidarsi, almeno per oggi.
Mentre Sandra gestiva i dettagli burocratici con la calma di un monaco zen, e Poul cercava di tenere a bada clienti sempre più isterici, Mike si concentrò sul problema più grande. L’azienda si aspettava non solo che la nave galleggiasse, ma che partisse a tutta velocità. In fondo, cosa c’è di più divertente di un ufficio in pieno caos, se non un ufficio in pieno caos dove devi fidarti del tuo nemico?
Il tempo, come al solito burlone, si era trasformato in un rullo compressore, schiacciando ogni speranza di Mike di staccare prima delle 17:00. Le 15:00 erano già un ricordo sbiadito. Ogni nuova email, ogni telefonata in arrivo, era come una goccia che faceva traboccare il vaso della sua pazienza, che era già ai minimi storici.
Ma Mike non era solo. Sandra, il suo angelo custode della produttività, era lì. Mentre Mike lottava contro una pila di pratiche che sembrava crescere di minuto in minuto, lei, con la serenità di una statua di Buddha, lo affiancava senza sbavature. Tra un faldone da archiviare e una telefonata che prometteva sventure, i due trovarono un ritmo quasi sincronizzato, una danza tra caos ed efficienza. Se fosse stato un ballo, avremmo vinto “Ballando con le Stelle” nella categoria “Sopravvivenza in Ufficio”, pensò Mike, trattenendo un sorriso stanco.
L’appoggio di Sandra era fondamentale: senza di lei, probabilmente Mike avrebbe preso la scrivania e l’avrebbe lanciata fuori dalla finestra. La sua capacità di anticipare i problemi era quasi soprannaturale, come un radar per le catastrofi imminenti. E la sua presenza costante gli dava la sicurezza di non affrontare la valanga da solo.
Ogni volta che Mike esitava, con l’espressione “non ho la minima idea di cosa sto facendo”, Sandra compariva, offrendo un suggerimento o confermando una scelta. Finalmente, pensava Mike, posso procedere senza sembrare completamente incompetente.
E quando l’ansia minacciava di prendere il sopravvento, Sandra lo riportava a terra con la sua frase preferita: «Mike, non salviamo vite. Calma. Niente stress.»
Era il suo mantra, semplice ma efficace. Bastava sentirlo per ricordarsi che, per quanto il lavoro fosse importante, non valeva la pena lasciarsi travolgere.
Quando finalmente si presero un respiro, Mike si rese conto di quanto fosse cambiata la sua responsabilità. Non si trattava più solo di gestire ordini e numeri: ora doveva prendere decisioni rapide, motivare il team e garantire che tutto funzionasse. Una sfida dura, sì, ma per la prima volta si sentì determinato. Convinto che, insieme a Sandra, avrebbero potuto superare qualsiasi ostacolo.
Mike era in ferie da un paio di giorni, e quella notte si rigirava nel letto, lo smartphone in mano. Accidenti, pensò, avrei dovuto avvisare Sandra che oggi sarebbe stata una giornata campale.
Un messaggio era già arrivato la sera prima: “Domani devi chiudere quella pratica. Sii precisa.” Ma il buongiorno che Mike le aveva inviato si era perso tra le onde di malumori dell’ufficio. Sandra non era in forma. Uno di quei giorni in cui persino il caffè sembra voler sabotarti.
Alle 9:00 Mike vide la prima chiamata persa, poi un’altra alle 9:15. “Eccola,” mormorò, stringendo il telefono come se pregasse.
«Mike, sono Sandra,» la voce era tesa. «Mi sento… persa. Ci sono troppi dettagli da gestire e… non so da dove cominciare.»
Mike cercò di rassicurarla. «Sandra, calma. Ce la farai. Andiamo per gradi. Hai il fascicolo davanti a te?»
«Sì, ma ogni volta che apro la porta per chiedere aiuto, Poul mi guarda come se fossi un fantasma.»
«Che ha detto, esattamente?»
«Ha detto che non è un suo problema e che questa pratica non è di sua competenza. Dice che non è lui a risolvere i casini che la cara Alice ha lasciato.»
Mike strinse i pugni, sentendo la rabbia salire. “Poul… non è un alleato, è una palla al piede. Forse dovevo dare la pratica a lui, e non a Sandra… ma sarebbe stato un disastro. Il suo ego non gli avrebbe permesso di affrontare i problemi.”
Al telefono, Sandra continuava: «Ogni volta che faccio un passo in avanti, Poul ne fa uno indietro.»
Mike sospirò, un sospiro di pura frustrazione. «Sandra, sei la più preparata di tutti. Nonostante tutto, sei tu che devi affrontare questa sfida. Non è solo per la pratica… ma anche per la tua crescita professionale. Per la stabilità dell’ufficio.»
«Ma non capisci, Mike, è come se… ogni volta che apro la bocca, Poul mi mette il bastone tra le ruote.»
«Allora fai un passo indietro e fai la cosa giusta. Quella che ritieni più opportuna. Hai tutti gli strumenti per farlo. Non aver paura di prendere l’iniziativa, di agire, e di decidere anche da sola.»
Mike sentì la rabbia salire ulteriormente. “Lo sapevo. Non posso fidarmi di quel ragazzo! Quel maledetto si fa un sacco di problemi, ma non fa mai niente.”
Pensò anche che il comportamento di Poul fosse l’esempio perfetto di una mentalità superficiale: “Bravo a parlare, ma quando c’è da mettere le mani in pasta...”
Rifletté sul fatto che il successo non dipende solo dalle capacità dei singoli, ma dalla cooperazione e dalla fiducia reciproca. Senza fiducia, un team era come una barca senza remi: destinata a girare in tondo senza mai andare avanti.
Alle 13:00, Mike ricevette un messaggio: “Fatto. Pratica chiusa.”
Si sentì quasi mancare. «L’hai fatto davvero? Sei un mito!»
«Non è stato facile risolvere la situazione con Poul, ma ci sono riuscita. Ho capito che non posso avere paura di esprimere la mia opinione e farmi valere, anche in momenti di forte stress. Non voglio più lavorare in un ambiente in cui voi due siete in conflitto. Il mio lavoro è fare ciò che mi viene chiesto e sono in grado di produrre ovunque. Se mi chiedete di fare qualcosa, lo faccio, ma non ho le competenze per sapere se è la cosa giusta da fare.»
«Sono fiero di te,» scrisse Mike. «Oggi hai fatto un grande passo avanti.»
Mike si sentì sollevato. Non era stata una giornata facile, ma aveva imparato una lezione importante: in un ambiente caotico e frustrante, la collaborazione e la resilienza erano fondamentali. Anche se le parole di Sandra erano meno entusiastiche del solito e lui percepiva il suo malcontento, le sue frasi spezzate mostravano la sua incertezza: "Non so se quello che mi dici sia corretto o meno... non ho le competenze per valutare... per lui, come... ma sei sicuro che lo devi fare io?"
E, soprattutto, Mike capì che non tutti i membri del team erano collaborativi e che la leadership non riguardava solo delegare, ma anche ispirare.
Un’ombra gli scivolò addosso, un presentimento gelido che gli fece accapponare la pelle. L’aria nella stanza di Sandra si era fatta pesante anche a distanza, carica di frustrazione. Mike sentiva il suo disagio come un peso sul petto e capì che non poteva più restare in silenzio.
Con le dita tremanti, compose una mail a Frank, il direttore di settore. Ogni parola era un goccia di inchiostro velenoso, un’accusa silenziosa ma precisa:
“Mi prendo la responsabilità di aver valutato troppo in fretta Poul. In questi giorni di mia assenza stanno emergendo difficoltà. Faccio fatica a trasferirgli le necessità del lavoro e percepisco una certa rigidità da parte sua… Sono consapevole che il mio stile può sembrare pressante, ma gestire il reparto con sole due persone richiede organizzazione. Posso rallentare, ma non credo sia la soluzione.”
La mail era un grido silenzioso, una richiesta d’aiuto prima che tutto crollasse. Chiese un confronto, un intervento di George, prima che Sandra partisse per le ferie, confidando nella sua esperienza e equilibrio.
Il confronto avvenne. Mike partì per le ferie, lasciando dietro di sé un equilibrio fragile, come un castello di carte in attesa di un soffio. I giorni passarono lenti, scanditi dall’ansia di una chiamata e dalla speranza che tutto andasse per il meglio.
Una sera, il telefono squillò. Era Sandra. La sua voce portava un misto di sollievo e avvertimento, spezzando la tranquillità:
«Poul si sta comportando bene, ma…»
E in quel “ma” c’era un abisso.
«Non intende prendere direttive da te. È ancora legato al metodo di lavoro di Alice.»
Il consiglio di Sandra fu semplice, quasi criptico:
«Con Poul… fai il bravo.»
Mike rimase a fissare il telefono, consapevole che, a volte, sopravvivere in ufficio significava molto più che risolvere pratiche: significava imparare a navigare tra egocentrismi, vecchi schemi e silenzi pesanti.
Mike rientrò in ufficio, ma l’eco di quelle parole lo perseguitava. Sandra era già in ferie, ma il consiglio risuonava nella sua testa. "Fai il bravo." Un’ombra di sospetto, però, lo assaliva. Poteva davvero Poul essere cambiato così? Poteva fidarsi? Non riuscì a seguire il consiglio. Quel retaggio di diffidenza era troppo forte, radicato in mesi di conflitti sotterranei. Seduto alla scrivania, le dita bianche strette intorno al telefono, Mike aprì l’email di conferma. Il sangue gli ribolliva nelle vene. Con un clic, iscrisse Poul a una conferenza sulle esportazioni estere. Era un azzardo, un messaggio implicito, un modo per affermare la sua autorità.
Pochi istanti dopo, Poul entrò nell'ufficio. A Mike il cuore gli batteva forte come un tamburo. Dall’altra parte, il silenzio, teso e carico di rabbia repressa. Poi, una domanda secca, un colpo di pistola nel silenzio dell’ufficio vuoto:
«Perché mi hai iscritto alla conferenza?»
«Perché sì. Domani sono impegnato con una ditta. È utile che vada tu» rispose Mike, calmo ma fermo.
Poul esplose. La sua voce, al telefono con la compagna, era un fiume in piena di rabbia e frustrazione. "Non si lavora così! Non puoi decidere per me! Lo sai, anche Sandra non vuole lavorare in questo clima. Venerdì scorso, quando tu eri in ferie, si è messa a piangere!". Ogni parola era una pugnalata, un proiettile sparato a bruciapelo. Sentiva qualcosa spezzarsi dentro di sé: non era solo la pazienza, ma la convinzione che in quell'ufficio contasse ancora la dignità delle persone. Mike cercò di replicare, ma il flusso di ingiurie, offese, diffamazione e minacce era inarrestabile. Poul prese lo smartphone e chiamò presumibilmente la sua compagna e in presenza di Mike rimasti dietro al suo PC cominciò a inveire contro di lui una serie infinita di diffamazioni, ingiurie, insulti e chi ne ha più ne metta.
"Arriva a dire: 'Se piange la ragazza, non me ne frega un [BIP]'. Che [BIP] di uomo... Uomo no, che [BIP] di essere umano sei? Sì, che schifo".
Il disprezzo nella sua voce era palpabile. "Io comando, si fa come dico io". Ma chi [BIP] sei, sto fallito di [BIP]? Tanto adesso va a piangere dal direttore, mica ha i coglioni per affrontare un discorso come un essere umano, come un uomo". La sua rabbia non si placava. "Mi devo relazionare con questi omuncoli da quattro soldi. Fallito. Che schifo, dai". Era l'unico sfogo che gli rimaneva. "Mi devo trovare a venire qui invece di stare sereno sotto Ferragosto. Mi devo relazionare con questi [BIP]".
La voce si fece più bassa, quasi un sussurro carico di disperazione. "Che delusione. Mai incontrate persone così di [BIP] nella mia vita". Le parole successive, urlate in ufficio, furono un flusso di rabbia diretta a Mike. Ogni frase un pugno nell'aria carica di tensione. Mike rimase impassibile, una statua di marmo in mezzo a una tempesta.
Alla fine, si alzò dalla sedia e con una calma glaciale, fece il giro della scrivania e parlò con fermezza: "Non ho detto che non mi importa se Sandra ha pianto. Ho detto che era lavoro... e andava fatto. E tu vai alla conferenza".
Il silenzio si fece denso, palpabile. Poul non replicò, ma la tensione era così forte che si poteva tagliare con un coltello. Mike uscì dall'ufficio, lasciando dietro di sé l'eco della rabbia. Si recò alla riunione aziendale e, con un'espressione neutra, accennò al vicedirettore l'accaduto.
Nel frattempo, aveva mandato un messaggio a Sandra, che gli rispose in modo asciutto e diretto: "Non mettetemi in mezzo. Io non piango per certe cose. Bene, siete durati nemmeno una settimana. Tienimi aggiornata".
Nel pomeriggio, il telefono di Mike squillò. Sul display, il nome del vicedirettore. Mike rispose. La voce all’altro capo era calma, ma tesa.
«Vieni nel mio ufficio.»
Una volta seduti, il vicedirettore non perse tempo.
«Ascolta, devi abbassare i toni. Ti dico subito che in questa storia io non ti difenderò. Poul è già passato da me, e ha raccontato la sua versione. Ha detto che hai fatto piangere Sandra, e ha minacciato di andare dai sindacati se la situazione non cambia.»
Mike rimase in silenzio. Il vicedirettore lo fissava, poi, con tono più lento, aggiunse:
«Voglio raccontarti una cosa. Un creditore aveva due debitori: uno doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Nessuno dei due poteva pagare, e il creditore condonò il debito a entrambi. Secondo te, chi lo amerà di più?»
«Quello a cui ha condonato di più», rispose Mike, quasi d’istinto.
«Giusto», disse il vicedirettore. «Vedi… chi riceve molto perdono, dovrebbe amare di più. E chi riceve poco perdono… ama poco.»
Un silenzio breve, ma carico. Mike capì che non si stava parlando di Poul.
«Quello che voglio dirti è che a te, in passato, sono già state perdonate parecchie cose.»
Il riferimento ad Alice era chiaro. Lo storytelling di Poul aveva funzionato: Mike non sa lavorare in gruppo, Alice ha lasciato per colpa sua. E ora, con Sandra coinvolta, il quadro sembrava completo. Poul sapeva come muoversi, come costruirsi una credibilità fatta di apparenze e insinuazioni. Bastavano poche mosse ben piazzate per mettere Mike sulla difensiva.
Ma c’era di più. Il vicedirettore non era solo un osservatore neutrale. Aveva mire su quel reparto, sapeva che Frank — il direttore attuale — sarebbe stato presto rimpiazzato. E lui si stava già posizionando. Non voleva grane, né conflitti che potessero ostacolare la sua scalata. Difendere Mike avrebbe significato esporsi, e non era disposto a farlo.
Il messaggio, anche se mascherato da parabola, era arrivato chiarissimo: Mike non era ben visto da alcune figure aziendali, e il suo trasferimento in un’altra sede, tra otto mesi, era già stato deciso. Il consiglio del vicedirettore era semplice: abbassare i toni, non creare problemi, e aspettare.
Mike si fermò un attimo sulla soglia del suo ufficio, lo sguardo fisso nel vuoto. Piano piano comprese il gioco sottile di Poul: non si trattava solo di ostinazione o pigrizia, ma di manipolazione. Raccontare al vicedirettore che anche Sandra aveva delle difficoltà e che il clima era insostenibile per tutti, non era altro che un tentativo di scaricare la responsabilità e di isolare Mike.
E ora, con il vicedirettore pronto a prendere il comando, il terreno sotto i suoi piedi sembrava sempre più instabile.
La rabbia si mescolava alla frustrazione, ma questa volta Mike la gestì diversamente. "Quindi il suo intento è questo," pensò. "Creare caos e far sembrare che anche gli altri stiano per crollare per colpa mia. Ma non cadrò in trappola." Sentì una chiarezza nuova: per quanto Paul potesse provare a manipolare la situazione, Mike sapeva dove stava la realtà. Conosceva il valore del lavoro e la dedizione con cui Sandra si era dedicata all'ufficio. Soprattutto, sapeva che la leadership non era solo imporre ordini, ma capire le dinamiche, proteggere il team e mantenere la propria integrità.
Quella sera, Mike chiamò Sandra per sapere come stesse e offrirle un po’ di conforto. Ma lei rispose con schiettezza: sapeva perfettamente cosa dire se fosse stata interrogata, e non aveva bisogno che lui le suggerisse come comportarsi. Con una punta di risentimento, aggiunse che non si era messa a piangere — se era questo che Mike voleva sapere.
La sua risposta, diretta e sincera, lo fece riflettere. Sandra era forte, autonoma, e la sua lealtà non andava confusa con debolezza. Quando lui le chiese delle pratiche lasciate in ufficio, lei rispose con distacco: “Fai tu”, lasciando intendere che forse sarebbe rientrata in ritardo per motivi di salute. Quella frase, apparentemente neutra, infastidì Mike. Non tanto per il contenuto, quanto per il tono: gli sembrò una chiusura, un modo per tenersi a distanza. Lui, che si era speso per proteggerla e sostenerla, si sentì messo da parte, come se il suo coinvolgimento fosse diventato superfluo.
In quel momento, Mike prese una decisione chiara: avrebbe continuato a guidare con fermezza, ma senza lasciarsi coinvolgere nei giochi ambigui di Poul. Avrebbe affrontato il caos con lucidità, consapevole che certi conflitti non si risolvono con la rabbia, ma con determinazione e mente fredda.
Il giorno seguente, la richiamò. Sentiva il bisogno di raccontarle l’accaduto, di condividere con lei ciò che era successo dopo la loro ultima conversazione. Le spiegò con calma come aveva gestito la situazione, senza cedere alla tensione né lasciarsi trascinare dalle provocazioni. Sandra ascoltò in silenzio, poi gli chiese soltanto: “Sei rimasto calmo?”
La domanda lo colpì. Non era curiosità, era una verifica. Un modo per capire se lui, nel mezzo della tempesta, aveva saputo restare saldo. Mike rispose di sì, e in quel momento sentì che, nonostante tutto, tra loro c’era ancora fiducia.
Qualche giorno dopo, ancora turbato dagli eventi, scrisse a Frank una lunga comunicazione. Con sincerità, descrisse le difficoltà emerse e propose spostamenti strategici per proteggere Sandra, cercando di delineare con precisione il quadro della situazione.
Prima delle ferie, Frank aveva parlato direttamente con Sandra, mettendo in guardia Mike: «Non dare ordini diretti a Poul. Sta solo aspettando un pretesto per esplodere». Mike rimase immobile, assorbendo il peso di quelle parole, poi lentamente si alzò e riprese la giornata con una determinazione più consapevole.
Nel primo pomeriggio, incontrò Frank. Il capo gli parlò con chiarezza e fermezza, dicendo esattamente ciò che Mike aveva bisogno di sentire: non era lui quello in errore. «Non ho mai conosciuto qualcuno del tuo livello come te — che riconosce il valore del mio lavoro e lo ha fatto presente davanti al direttore. Probabilmente pochi altri direttori sarebbero capaci di fare lo stesso».
Sul fronte di Poul, Frank fu altrettanto diretto: «Va evitato. Se non vuole prendere ordini da te, allora sarò io a gestirlo». Frank spiegò che, insieme al vicedirettore, stava lavorando per limitare Poul ai magazzini di spedizione, evitando che mettesse piede in ufficio. «È un aggressivo passivo», aggiunse, con l’auspicio che la situazione lo spingesse a volersene andare o restare, ma lontano dall'ufficio.
Per quanto riguardava Sandra, Frank fu chiaro e preciso: «Deve seguire le tue indicazioni, e lei ha confermato di aver recepito. Ne hanno parlato, e Sandra ha detto ‘ok’, ma non vuole avere Poul nei paraggi quando ci sei tu». Riconobbe che la convivenza forzata rappresentava un problema e promise di intervenire per allontanarlo il prima possibile. «Nel frattempo», aggiunse, «bisogna gestirlo senza farsi condizionare, anche perché lui capisce che Poul cerca di portarla dalla sua parte».
La giornata si chiuse con Mike intrappolato in una rete fitta di alleanze e tradimenti, un gioco di potere dove ogni mossa poteva trasformarsi in un rischio mortale. Non aveva davanti soltanto un lavoro da svolgere, ma un intero ufficio da governare, tra drammi, frustrazioni e tensioni pronte a esplodere in qualsiasi momento.
Sapeva che non poteva più restare in silenzio. Il comportamento di Poul nei suoi confronti era inaccettabile: non si trattava più di semplici divergenze professionali, ma di una strategia deliberata per screditarlo, isolarlo e spingerlo fuori dal gioco. Mike doveva conferire con il direttore, prima che fosse troppo tardi.
Era l’unico interlocutore rimasto con sufficiente autorità per intervenire. Con lui andava chiarita non solo la posizione di Poul, ma anche quella di Sandra. Mike non poteva permettere che il racconto distorto di Poul diventasse la versione ufficiale dei fatti. Doveva spiegare che Sandra, pur in difficoltà, era stata strumentalizzata, e che il clima teso non era frutto di un suo atteggiamento, ma di una dinamica più profonda e manipolatoria.
Non si trattava di difendersi. Si trattava di ristabilire la verità.
Mike sapeva che quel confronto sarebbe stato decisivo. Non solo per salvare la sua reputazione, ma per capire se in quell’ufficio c’era ancora spazio per la giustizia, o se il potere aveva già scelto da che parte stare.
Atto III: Epilogo
Il giorno del rientro di Sandra dalle ferie era finalmente arrivato. Mike, durante la sua assenza, aveva lavorato intensamente, portando a termine diversi progetti. Si chiedeva come avrebbe reagito Sandra, e lo scoprì presto: alle sue spalle, lei si recò dalla direttrice del personale per chiedere un trasferimento. Non voleva più occuparsi della sezione esteri, né assumersi responsabilità. Mike sentì la sua voce provenire dall’ufficio accanto, mentre parlava con due colleghi. Dai messaggi del giorno prima, sapeva che Sandra non voleva essere il futuro dell’azienda. Non desiderava la posizione di Alice, né l’auto aziendale, né l’onere di firmare documenti o seguire corsi. Voleva solo fare la segretaria e, quando fosse il momento, trasferirsi nella sede di Boston, più vicina a casa sua. Quando Sandra arrivò, Mike la accolse con entusiasmo, ma percepì subito una freddezza insolita. Lei non parlò delle vacanze, si immerse nel lavoro e, poco a poco, rivelò le sue vere intenzioni: evitare responsabilità, non firmare nulla, non agire in assenza di Mike. Gli disse anche che Alice aveva ragione su alcune procedure. Il giorno seguente, Mike era fuori per un corso di formazione. Le tensioni si spostarono su chat, dove esplose la delusione. Mike iniziò un monologo, paragonando Sandra a sua moglie, che aveva accettato la sua dedizione al lavoro con rispetto e amore. Poi, con tono tra rassegnazione e rimprovero, tornò su Sandra:
«Ho capito che non vuoi essere un punto di riferimento, ma hai dimostrato grandi capacità. Le nostre differenze stanno diventando un problema. Per me, il lavoro è una questione di responsabilità e credibilità.»
Sandra rispose freddamente, lamentandosi del materiale che Mike aveva preparato di notte. Mike cercò di alleggerire il tono, ma lei lo accusò di essere «vittimista».
«Così ti voglio» scrisse Mike, quando lei accettò un compito che prima aveva rifiutato. «Niente più vittimismo e pateticità... vai, agisci.»
La tensione era palpabile. Nel pomeriggio, furono convocati dal direttore. Il suo messaggio fu chiaro: «L’ufficio deve funzionare.»
Usciti dalla riunione, Mike cercò di avvicinarsi a Sandra. Lei lo superò senza dire una parola.
«Sandra, aspetta» disse Mike. «Possiamo parlarne?»
Lei si voltò, gli occhi freddi: «Parlare di cosa? Di quanto sono delusa?»
«Non capisco... cosa è successo?»
«Lo sai benissimo» rispose lei. «Hai creato caos, e io ho pagato. Da oggi, solo rapporti lavorativi. Niente messaggi fuori orario, niente confidenze.»
«Ma Sandra, ti ho solo... voluto aiutare.»
«Smetti di essere così ingenuo, Mike. Mi hai messo in mezzo a una situazione che non voglio. Ora lasciami in pace.»
Mike le scrisse un messaggio: «Possiamo parlarne domani?»
La risposta fu gelida: «Ok. Ne parliamo domani.»
Il giorno dopo, Sandra prese la parola per prima: «Parlo io.»
«Hai tradito la mia fiducia. Hai raccontato che ero in malattia, e lo avevo detto solo a te.»
Mike negò, ma lei continuò: «Mi hai detto che non ti importa se piango, che è solo lavoro, che l’auto aziendale servirà per farmi portare mezzi più grandi.»
Mike incassò in silenzio. Chiese chi le avesse detto quelle cose, ma lei non rispose.
«Non devi più cercarmi, né scrivermi. Altrimenti diventerai uno stalker.»
Quel giorno si concluse nel peggiore dei modi. Mike doveva firmare dei documenti digitali, ma il lettore non funzionava. Esausto, si rivolse a Sandra:
«Posso usare il tuo lettore per un attimo?»
Sandra annuì senza guardarlo. Anche il suo lettore non funzionò.
«Sandra, perché non li firmi tu? Sei autorizzata.»
Lei si alzò di scatto: «Non posso farlo, Mike, lo sai!»
Afferrò la borsa, uscì sbattendo la porta. Mike rimase solo, con un lettore guasto e una certezza dolorosa: l’ultima porta tra loro si era chiusa.
Spense il computer e si avviò verso casa, con il cuore spezzato. Sperava che le ferie potessero lenire le ferite.
Quasi arrivato, ricevette una chiamata da un collega:
«Ehi Mike, cosa farai in vacanza?»
«Ancora non lo so. Oggi l’ufficio sembrava un campo di battaglia.»
Il collega continuò: «Sai chi ho visto da lontano. Sandra e Poul erano al bar, sembravano molto amici.»
Mike sentì un gelo improvviso. Capì che il collega non cercava confidenza, ma solo pettegolezzi. Riattaccò con una scusa. Non voleva più parlare di Sandra, né di Poul. Voleva solo partire e non voltarsi più.
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Atto IV: La Sospensione della Realtà
Dopo aver preso la decisione di affrontare la situazione, la storia cambia inaspettatamente. Si scopre che l'intera vicenda è stata un sogno di Gregory, un ricco imprenditore che sta per acquisire la House &. Gregory, che si è immedesimato in Mike, capisce di aver evitato un "incubo" grazie al suo intuito. La sua assistente, Sandra Spurs, sta gestendo l'acquisizione, ma consiglia di non procedere. Gregory, che ora ha un quadro più chiaro della situazione, le ordina di interrompere le trattative, temendo che l'ufficio sia già un covo di problemi. La storia si conclude con l'arrivo di un'email da un certo "Mike, Seattle", suggerendo che la partita non è ancora finita.
Poi, tutto svanì.
Gregory aprì gli occhi. Era nel suo letto di lino candido alle Bahamas. Aveva fatto un sogno, era un uomo di nome Mike. Il sole filtrava tra le tende leggere, e il suono delle onde si mescolava al canto lontano degli uccelli tropicali. L’aria profumava di salsedine e di legno lucido, promessa di un lusso silenzioso e senza tempo.
Accanto a lui, il maggiordomo in impeccabile livrea posò un vassoio d’argento e gli porse il giornale del mattino.
«Signore, parlano di lei» disse con voce calma, quasi solenne, come se stesse leggendo il verdetto del destino.
Gregory sfogliò distrattamente le pagine, finché un titolo in grassetto lo trafisse come un colpo a bruciapelo:
“La House & è in vendita: opportunità unica di acquisizione. Gregory & Co unica offerta.”
Un lampo di consapevolezza gli attraversò lo sguardo. Con un gesto fluido, raccolse lo smartphone. L’acqua della doccia cominciò a scrosciare sul marmo bianco, ma senza attendere uscì dal getto e parlò a voce ferma, rivolgendosi al suo amministratore delegato:
«House &… chi si sta occupando dell’acquisizione?»
Il telefono vibrò poco dopo. Gregory fece cenno al maggiordomo di leggere il messaggio.
L’uomo sollevò appena un sopracciglio e scandì con tono neutro: «Sandra Spurs, signore. Ma… a suo parere non è un buon affare.»
Gregory socchiuse gli occhi, come se avesse intravisto l’ombra di qualcosa di più grande. Compose il numero di Sandra e attese. Dopo pochi squilli, la sua voce professionale, precisa e controllata, riempì la stanza:
«Stiamo valutando ogni dettaglio, signore. Ci sono criticità, ma nulla di insormontabile. Posso inviarvi un resoconto entro oggi.»
«Sandra,» la interruppe Gregory, con voce che non ammetteva esitazioni, «sia sincera. È davvero un buon affare?»
Un silenzio sospeso si aprì tra i due, poi la risposta arrivò come una confessione sofferta:
«Non lo so, signore. Lei mi ha mandato a concludere, e io…»
Gregory serrò lo sguardo, come chi vede un vecchio nemico apparire all’orizzonte. «Dimmi: conosci un certo Mike alla House?»
«No, signore» replicò Sandra con sicurezza. «Conosco soltanto il loro rappresentante legale… un certo Poul.»
Quel nome cadde nell’aria come un macigno. La voce di Gregory divenne immediatamente tagliente, imperiosa:
«Sandra, interrompa immediatamente ogni trattativa. Voglio che rientri oggi stesso da Seattle. Si prenda tre settimane di ferie, a mie spese. Ci rivedremo a settembre, a New York.»
Non attese risposta. Riagganciò con un gesto secco, definitivo.
Poi si accomodò sulla terrazza che si affacciava sull’oceano infinito. Il maggiordomo, silenzioso, posò davanti a lui una tazzina di caffè nero e fumante.
Gregory la prese tra le mani, assaporando il calore e il profumo intenso. Lo sorseggiò lentamente, mentre il vento agitava le palme e il sole cominciava la sua corsa verso il tramonto.
Un sorriso ironico gli increspò il volto.
«Ho fatto un sogno… e in quel sogno ho evitato un incubo.»
Il maggiordomo chinò appena il capo, in un gesto di muta intesa. Ma proprio in quell’istante, il telefono sul tavolo vibrò una volta, poi un’altra, insistente.
Gregory aggrottò le sopracciglia. Sul display lampeggiava una notifica: nuova e-mail — mittente: Mike, Seattle.
Il cuore del magnate ebbe un sussulto improvviso. Gregory esitò, la mano sospesa sul telefono.
Gregory esitò, la mano sospesa sul telefono. Il cuore del magnate ebbe un sussulto improvviso. Aprì l'email.
Oggetto: Non sono solo un sogno.
Sono l’uomo che ha provato a fare la differenza in quest’azienda. Se vuole davvero rilevarla e salvarla, ho bisogno di parlarle. Conosco i punti di forza e le fragilità. La mia lotta non era un incubo, era un segnale di allarme.
Gregory rimase a fissare lo schermo. L'oceano scintillava come un’enorme distesa di diamanti, ma il suo sguardo era già rivolto a New York, a un futuro che ora dipendeva da una sola, inattesa, decisione.
Il maggiordomo si avvicinò, in attesa di un ordine.
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Gregory sollevò lo sguardo. «Chiami Sandra. Abbiamo un nuovo piano.»
Il destino di House & era già sigillato… o forse no. Forse la partita non era affatto finita.
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